L’incontro con Alessia Galli è un incontro speciale. Conosco da anni la sua famiglia, prima ancora che lei nascesse. Una famiglia meravigliosa, piena di amore, di valori e di persone belle. Conoscerla tramite le sue risposte è in ogni caso una rivelazione. Avevo già intuito, dalla profondità dei suoi scatti, che fosse una persona strutturata, profonda e concreta. Sorprende come dai suoi soli 20 anni (o poco più) di vita abbia tanto da raccontare. Ha trovato la sua espressione nel linguaggio, non solo quello scritto e parlato (conosce ben 4 lingue!), ma soprattutto in quello fotografico. Un modo per conoscere se stessa. Un modo per dare voce al mondo.
Di lei mi affascinano il ritmo con cui si racconta, la prontezza e la profondità delle risposte, il non essere mai scontata, la grande umiltà ed autocritica, le sue consapevolezze, l’enorme senso di gratitudine e di rispetto verso ciò che la circonda. Tutto questo senza che venga adombrata la tanta voglia di sognare, di sperimentare, di abbracciare grandi soddisfazioni e gioie.
Di Alessia mi piace questo meraviglioso equilibrio tra la spensieratezza delle sue ali e il buon senso dei suoi piedi ben piantati a terra.
Vi lascio alla lettura e Vi invito a visitare il suo sito https://alessiagalliphotography.myportfolio.com e il suo profilo Instagram @alessiagalliphotography
Alessia come ti definiresti in poche righe?
Mi definirei innanzitutto come una persona estremamente semplice. Sono un po’ una sognatrice coi piedi per terra, curiosa ed intraprendente, ma anche molto autocritica per quanto riguarda il mio lavoro e le mie attività in generale. Non penso di essere una persona speciale, anzi, spesso passo inosservata; sono un essere umano del tutto comune. Ciò che forse mi contraddistingue maggiormente è il mio senso dell’umorismo costantemente attivo: scherzo dalla mattina alla sera, faccio sempre battute e imitazioni di ogni tipo tanto che tra tutti i miei amici sono considerata la cabarettista del gruppo.
Quando hai scattato la prima fotografia?
Non ricordo esattamente quel momento, so però che quando avevo circa 10 anni acquistammo la prima fotocamera digitale compatta di famiglia e me ne impossessai subito: agli eventi di famiglia, durante le gite fuori porta ed ai compleanni finiva sempre che scattavo tutto io, mi piaceva da morire. Però ecco, i risultati non erano sempre ottimi.
Quando hai acquistato la prima macchina fotografica?
La mia primissima fotocamera è stata una compatta Polaroid che mi hanno regalato a 14 anni ma non ci feci granché. Ai miei 16 anni i miei genitori si resero conto che volevo crescere dal punto di vista fotografico e mi comprarono una fotocamera: ricordo benissimo quel momento. Ero in vacanza in Sicilia con i miei nonni e mia madre mi chiamò per dirmi che stavano comprando una fotocamera bella, professionale, tutta per me ed io impazzii dalla gioia! Peccato che al mio ritorno dalle vacanze non trovai una reflex ma una bridge Olympus, che è una via di mezzo tra una compatta e una fotocamera semi professionale. Non nascondo che ci rimasi molto male, ma capivo che in quel momento anche volendo non c’erano le risorse economiche per acquistare qualcosa di più sofisticato e allora iniziai a sperimentare con i mezzi che avevo. Infine ebbi la mia prima reflex tra le mani nel 2015, dopo che i miei amici ed i miei famigliari si unirono per raccogliere dei soldi da regalarmi di modo che potessi comprare il mezzo che preferivo; sulla busta c’era scritto “Per Alessia, affinché tu possa realizzare i tuoi sogni”. Non era moltissimo, ma ne uscii con una Canon usata in ottime condizioni che ho usato fino all’anno scorso. Ricordo di aver provato una gioia immensa, impagabile.
Quando hai capito che la fotografia era qualcosa di importante per te?
L’ho capito solo qualche anno dopo aver iniziato a scattare. I miei primi lavori erano relegati agli alle discoteche della zona, facevo le foto alla gente che si divertiva nei locali: divertente, ma non molto appagante. Ogni tanto scattavo qualche ritratto alle mie amiche, altre volte passavo ore ed ore a fotografare i fiori del mio giardino. Un paio d’anni dopo andai con un mio amico ad una mostra fotografica alla Villa Reale di Monza dove vidi dei lavori spettacolari che appartenevano alla raccolta dei Sony World Photography Awards: ho impresso nella mente il brivido che provai davanti ad alcune foto, qualche scatto mi fece addirittura piangere. Lì capii che ciò che potevo fare con la fotografia era molto più del semplice immortalare momenti di divertimento o di gioia, lì capii che la fotografia sarebbe stata per me un mezzo espressivo fondamentale, ma non solo per me: capii che avrei voluto fare delle mie fotografie un canale per dare voce a chi non ne ha, per far contare anche chi normalmente sembra contare zero e per fare sentire al mondo chi non viene ascoltato da nessuno. Mi ripeto sempre che è stata una fortuna per me nascere in Italia, in uno stato democratico, libero, privilegiato rispetto a tanti altri Stati del Sud del mondo. E allora voglio condividere il mio privilegio con chi non ha mai avuto l’occasione di essere ascoltato.
Hai fatto qualche corso?
In realtà no, sono praticamente completamente autodidatta. Il mio primo (ed ultimo) corso di fotografia è stato un workshop di due giorni di ritratto e street photography con Eleonora Sabet che ho seguito a giugno di quest’anno. Eleonora è una giovanissima fotografa strabiliante e mi ha insegnato moltissimo, sia dal punto di vista tecnico sia da quello umano nel rapporto tra il fotografo ed i suoi soggetti. Questa esperienza è stata sicuramente una svolta nel mio percorso fotografico.
Come si impara a fotografare?
Non c’è una strada precisa da seguire per imparare a fotografare. Per quanto riguarda la mia esperienza, ciò che più conta sono la curiosità e la sperimentazione. Bisogna mettersi lì e provare, smanettare con i programmi di editing, sperimentare con condizioni di luce ed inquadrature diverse ogniqualvolta se ne ha l’occasione. E poi bisogna non fermarsi mai: la fotografia non è qualcosa di stabile, è sempre in evoluzione ed è necessario evolvere con lei; sentirsi “arrivati” è a parer mio ciò che inevitabilmente porta gli scatti alla monotonia.
Quanto è importante la tecnica?
Personalmente credo sia abbastanza importante, soprattuto nel momento in cui effettui dei lavori su commissione, ma senza alcun dubbio posso affermare che nulla è più importante della storia che vuoi raccontare con una fotografia e dell’emozione che vuoi trasmettere. Ci sono un’infinità di esempi di foto tecnicamente imperfette che però hanno segnato indelebilmente la percezione di un certo momento storico o hanno dato una svolta alla Storia stessa.
Cosa rende un fotografo speciale e riconoscibile?
Difficile a dirsi. Ci sono moltissimi artisti che si somigliano nell’utilizzo dei colori e delle inquadrature, sono ottimi fotografi ma che ti fanno pensare “nulla di che”. Sarò fissata, ma secondo me quello che rende speciale un fotografo è, ancora una volta, il messaggio. Fotografie esteticamente meravigliose possono colpire e rendere riconoscibile un autore rispetto ad un altro, ma l’estetica fine a sé stessa per me fa perdere il valore della foto, nonostante io sia la prima ad aver scattato molte fotografie solo basandomi sul fattore estetico.
Quali i modelli a cui ti ispiri?
Non ho dei modelli ben precisi in realtà. A parte Eleonora Sabet che seguo da moltissimi anni e che è per me una grande fonte di ispirazione soprattutto per la sua etica nel fotografare, in generale ammiro un po’ tutti e un po’ nessuno. Cerco di non farmi ispirare troppo dagli altri perché quello che mi preme è riuscire a trovare una mia personale identità fotografica.
Quale la foto più importante per te che hai scattato?
Credo di non averla ancora scattata in realtà, nel senso che al momento sono ancora molto acerba: ci sono senz’altro delle foto che significano molto per me, ma senza dubbio la mia opera magna è ancora abbastanza lontana. Se dovessi scegliere una foto che però mi rappresenta sceglierei lo scatto che ho denominato “The Hopeful Guy”, scattata durante il Milano Pride a giugno di quest’anno. È una fotografia che per me rappresenta la lotta sociale della comunità LGBT+ a distanza di cinquant’anni dalle primissime manifestazioni che si tennero a Stonewall nel ’69. In qualche modo questo scatto oltre a raccontare l’importanza di queste lotte pacifiche per dei diritti fondamentali che tutt’oggi vengono negati, rappresenta uno spunto di riflessione sull’immobilismo della mente umane e sul suo essere chiusa: se dopo tutto questo tempo le persone devono ancora scendere in piazza per rivendicare il loro diritto ad amare, forse c’è qualcosa che non va.
Quale la foto che vorresti fare?
Tutte quelle che non ho ancora fatto!
Quando ritrai le persone generalmente le conosci prima, fai loro qualche domanda per capirle meglio? Cosa accade per riuscire a ben raccontarle?
Non sempre conosco i miei soggetti di persona. Quando fotografo la gente per strada ogni tanto mi capita di chiacchierarci, ma succede per caso, anche perché tendenzialmente cerco di non far intendere che sto scattando una foto proprio a loro o ciò potrebbe infastidirli. Altre volte invece, quando non mi è proprio possibile passare inosservata, inizio presentandomi e spiegando quello che sto facendo, illustrando magari il mio progetto e cercando di capire se il soggetto in questione sia disponibile o meno a prendervi parte.
Quali i soggetti che ti piace di più immortalare?
Senz’altro le persone. Spesso scatto fotografie alle manifestazioni perché l’energia che mi arriva da alcuni volti è strabiliante, forse perché si tratta di persone che si trovano in quel posto ed in quel momento con uno scopo preciso in cui credono. Però è indubbiamente appagante anche fotografare la quotidianità: prendere la fotocamera e, un giorno come gli altri, stare a zonzo per la città tra la gente che vive le proprie vite, lasciarsi catturare dalla semplicità, dalla spontaneità dei loro gesti e delle loro movenze per poi farne qualcosa di speciale.
Sai tante lingue avevo letto, vero? In cosa consiste il linguaggio della fotografia?
Sì ricordi bene, parlo quattro lingue piuttosto bene, ma credo che ciò non differisca molto dal “parlare fotografico”. Il linguaggio della fotografia è un linguaggio come gli altri, e come tale ti porta a pensare in modo diverso ed influenza la tua visione del mondo, spesso migliorandola. È senz’altro un linguaggio molto comunicativo che può portare messaggi di ogni tipo, da quelli sociali a quelli puramente estetici a quelli informativi, nonostante sia un linguaggio talmente libero e allo stesso tempo potente che purtroppo può essere facilmente manipolabile ed utilizzato anche a scopi negativi, di propaganda o comunque di distorsione della percezione della realtà.
Cosa farai da grande? Quale il sogno che vorresti realizzare?
Al momento ho ancora un po’ di dubbi riguardo il mio futuro professionale. Sto per laurearmi in Comunicazione Interculturale alla Bicocca di Milano, e senz’altro mi piacerebbe continuare gli studi riuscendo a coniugarvi la fotografia, ma diciamo che ancora non sento una vocazione precisa. Senz’altro uno dei sogni che vorrei realizzare sarebbe poter realizzare un mio personale reportage, ma non so bene su cosa: probabilmente sempre su un tema con una vena sociale marcata, ma anche su questo ho da riflettere bene. Diciamo che sto procedendo un passo alla volta verso il futuro.
Cosa non fotograferesti mai?
Non fotograferei mai una cosa non vera.
Cosa ne pensi del fatto che oggi con i social network tutti si proclamano “fotografi”?
Penso che le nuove tecnologie a livello di supporti fotografici stiano facendo miracoli, nel senso che ormai è possibile scattare delle fotografie semi-professionali anche con uno smartphone da 400€. C’è da dire che se sei dell’ambito la differenza si nota, ma comunque queste fotocamere ad altissima definizione alla portata (economica e pratica) di tutti possono dare l’illusione di essere dei fotografi. Anche io molto probabilmente mi professo una fotografa senza esserlo, perché magari non sarà il mio lavoro della vita e appunto, so di avere ancora moltissimo da imparare, però so che io sto raccontando qualcosa. Perchè per me per essere un fotografo significa, oltre ad avere una buona tecnica, avere qualcosa da dire.
Le fotografie oggi sono diventate un mezzo di condivisione istantanea più che un ricordo da tenere tra le mani. Cosa ne pensi?
Penso che non si possa invertire in alcun modo questa sequenza, per lo meno fino a quando non subentrerà un supporto tecnologico o un social con una modalità di condivisione di materiale mediatico che soppianti totalmente i nostri costumi attuali. Poi in realtà, nonostante la percentuale di fotografie che si disperdono nel web ad uso solo “istantaneo” sia molto elevata, credo che il rapporto con le fotografie sia comunque molto personale e variabile.
Che rapporto hai con la fotografia vecchio stampo?
Ho comprato giusto poco tempo fa una fotocamera analogia degli anni ’70, una Minolta che ho trovato a prezzo stracciato in un mercatino dell’usato. Ero molto curiosa di sperimentare su pellicola, ma in realtà non ci ho mai dedicato troppo tempo, nel senso che ogni tanto scatto qualche foto ma non sono ancora riuscita ad approfondire le mie conoscenze in quest’ambito, cosa che è ai primi posti della mia to do list.
Quanto è giusto e opportuno secondo te condividere della propria vita e intimità?
Anche questa è una questione estremamente variabile. Credo fermamente che ci sia un limite d’intimità entro cui è bene non fare entrare troppo pubblico, allo stesso tempo però ci sono un sacco di progetti fotografici che trattano dell’intimità quotidiana ad esempio di coppie, famiglie, amici o singoli, ma che lo fanno in maniera talmente delicata che non risultano inopportuni. La chiave sta sempre nel modo in cui si racconta una storia e dall’obbiettivo comunicativo. Lo stesso vale per la condivisone dei momenti più comuni della propria vita, anche se in questo caso oramai siamo abituati a vivere le vite degli altri attraverso i contenuti che postano, basta riflettere sul fatto che molte persone ormai condividono la propria quotidianità per lavoro, come ad esempio fanno gli influencer.
Quale la foto che non ti hanno scattato e che avresti voluto?
Mi sarebbe senz’altro piaciuto avere un ricordo di me sui Bunkers del Carmel di Barcellona. Feci un viaggio da sola l’estate scorsa perché avevo voglia di vedere come me la sarei cavata senza l’appoggio di nessuno, e poi perché viaggiare da soli è una grande opportunità di stare un po’ con sé stessi. È stata senz’altro un’esperienza gratificante e non vedo l’ora di farlo di nuovo, ma ripensando a quella vacanza rimpiango di non essermi fatta scattare una fotografia in quel posto magico. Ricordo che non appena fui in cima ai Bunkers rimasi immobile a fissare la vista per molti minuti, quel paesaggio mi toglieva il fiato: si vedeva tutta la città di Barcellona dall’alto, con le sue geometrie ed il mare sullo sfondo, tutto questo in orario tramonto. Fu davvero uno spettacolo pazzesco e ricordo che provai una sensazione di libertà indicibile. Però a volte credo che forse sia stato un bene non essermi fatta fotografare, perchè tutto il tempo che ho passato in quel luogo l’ho speso per godermelo e per vivermelo. A volte non è necessario scattare fotografie ricordo, perché tanto certi momenti, certi posti, certe sensazioni non puoi scordarli.
E a proposito, ti piace farti fotografare?
Assolutamente no, anzi, farmi fotografare mi crea moltissimo imbarazzo. Non so mai che posa o che faccia fare, mi sento sempre fuori posto davanti l’obbiettivo, preferisco senz’altro stare dietro la fotocamera. Ogni tanto però mi scatto degli autoritratti, tendenzialmente quando sento di avere un’urgenza espressiva o semplicemente per sperimentare qualche nuovo assetto di luci o qualche nuova tecnica. Tendenzialmente questi scatti mi soddisfano molto, perché sento di avere il pieno controllo su quello che voglio trasmettere.
Raccontaci delle tue mostre ed esposizioni. Dove, quando, come?
Quest’anno ho iniziato ad avere contatti con un gruppo di giovani artisti di vario tipo (perfomers, musicisti, pittori, illustratori, scultori…) che hanno organizzato una serie di eventi espositivi sotto il nome di Lorem Ipsum durante i quali i partecipanti potevano allestire un angolo con le proprie opere e confrontarsi con gli altri artisti e con il pubblico. Con loro ho preso parte a due mostre, le quali si sono svolte al Parco Tittoni di Desio, mentre ho allestito un’altra piccola mostra per una festa di paese a Senago dopo essere stata contattata dall’associazione teatrale Luna Rossa. Durante questi eventi ho esposto principalmente ritratti e scatti di street photography, e devo dire che è stato enormemente gratificante avere delle persone che guardavano e apprezzavano le mie opere in loco. Tendenzialmente pubblico e pubblicizzo le mie fotografie sui social, come del resto fanno praticamente tutti, ma il feedback non è assolutamente paragonabile a quello che si riceve durante una mostra. Il poter spiegare i miei obiettivi comunicativi, le mie esigenze espressive, le storie che volevo raccontare a tutti gli spettatori presenti e riuscire a farli entrare nel mio mondo artistico è stato emozionante, soprattutto perchè dall’altro lato c’era un interesse vero. Prossimamente dovrei riuscire ad allestire un’altra esposizione coi ragazzi di Lorem Ipsum ma non abbiamo ancora definito i dettagli di questa nuova edizione. Certo è che mi piacerebbe moltissimo, un domani, realizzare una mia mostra personale con una serie di fotografie a progetto.
Quali i progetti per il futuro?
Oltre all’organizzazione di nuove mostre e alla realizzazione di reportage, non ho le idee chiarissime per il futuro. Sono tendenzialmente una persona che prende la vita così come viene, e soprattutto non escludo nulla; anche perché a parer mio bisogna fare molte esperienze differenti per capire quale sia esattamente la propria strada e sicuramente io devo ancora sperimentare molto prima di stabilire una mia identità fotografica.
Quale la domanda che non ti ho fatto e avresti voluto ti facessi? Datti anche la risposta.
Mi sarebbe molto piaciuto rispondere ad una domanda riguardo il valore della fotografia percepito dai non fotografi. Nel senso che spesso quando effettuo un servizio fotografico per lavoro, i clienti non si rendono conto di quanta fatica ci sia dietro. Non pensano a tutta la fase di preparazione, progettazione, quella successiva di selezione e di editing nonché all’elevatissimo costo dell’attrezzatura professionale; di conseguenza il lavoro di noi fotografi spesso e volentieri viene svalutato a livello economico, ma anche artistico. Pensano spesso “beh ma che ci vuole a prendere la fotocamera e a scattare due foto”, finendo così per denigrare non solo un mestiere, ma proprio una forma d’arte. Credo che nessuno si sia mai permesso di dire “Ma che ci vuole a fare due spennellate su una tela” guardando La Gioconda, mentre invece tutti credono di poter giudicare i lavori artistici più moderni, non solo dei fotografi ma anche dei colleghi videomaker, grafici, illustratori digitali e via dicendo. Sarebbe davvero grandioso se tutti riuscissero a comprendere realmente il valore di quello che tutti noi realizziamo con sudore e fatica e iniziassero a reputarci dei lavoratori a tutti gli effetti e non dei semplici fannulloni. Ovviamente non tutti danno questa reputazione all’ambito artistico, ma credo che la strada verso la completa accettazione e comprensione delle nostre attività sia ancora lunga.
Chiudo questa intervista con la fotografia di un uomo per me speciale raccontato da Alessia in modo egregio. in questo scatto si percepisce la forza, la gioia, il dolore, il coraggio di un uomo che con i suoi occhi, a sua volta, racconta una vita ricca di emozioni.
Grazie ancora ad Alessia Galli per le risposte e per i suoi meravigliosi scatti.
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