Chiara Ferragni - Unposted. Un film, un documentario, un dietro le quinte di chi con “molto del proprio dietro le quinte” ha costruito una professione. E sottolineo che molto non coincide con tutto.
Per poter dare un “giudizio” su questa pellicola si deve necessariamente arrivare alla poltrona senza “pre-giudizio”, senza invidia e con una buona dose di oggettività.
Sicuramente si respirano colori, profumi, glitter, perline, leggerezza e fuochi d’artificio, ma un osservatore attento non può non cogliere quanto il fenomeno mediatico Chiara Ferragni sia frutto di impegno, costanza, studio, e creatività di un team di persone piene di talento e competenza.
Certo, per Chiara ci sarà stata una buona dose di fortuna, ci sarà stato il fatto che veniva sì da una provincia, ma da una famiglia benestante e in grado di fornirle anche un supporto emotivo-sentimentale, ci sarà stato che la bellezza e la determinazione l’hanno aiutata e che ha conosciuto qualcuno che ha supportato la sua voglia di emergere, ma perché farle una colpa per questo? Perché non riconoscere, invece, che oltre a tutto il “sembrare” ci sia stato e ci sia anche sacrificio e sostanza?
Cosa dire di un apparente selfie che è invece il prodotto di almeno 4 persone intorno all’influencer? Cosa dire se si pensa che dietro al vestito indossato in quello stesso selfie probabilmente hanno lavorato anche altre 3 persone, per valutare se e come creare un post?
Cosa dire di un lavoro senza orari che ti costringe ad avere sempre persone intorno a te? Cosa dire dell’impossibilità di ammalarsi, di rimandare, di chiudersi in una stanza, soli, senza dover interagire con qualcuno, senza sentirsi osservati di continuo, senza potersi fermare mai?
E che dire della possibilità di andare in giro senza che qualcuno ti riconosca, senza che i tuoi followers vogliano un momento di celebrità guancia a guancia con il loro mito?
Che dire delle continue critiche e insulti degli haters? Che dire di un team di persone da coordinare, integrare, stimolare, ringraziare e gratificare? Che dire del fatto che essere una donna e dover dimostrare il doppio rende tutto più difficile?
Sicuramente ora chi legge starà pensando che molti fanno ben altri sacrifici, che ci sono persone con problemi molto più seri (e certamente è così), ma non vuole essere questa la sede per partecipare alla “bilancia delle sventure”.
Qui si vuole solo sottolineare come la vita di questa donna sia simile a quella di una “pop star”, di un’“attrice”, di una “modella” che in questa “nuova epoca mediatica” è stata in grado (da sola o in team) di cogliere l’attimo, ma soprattutto di mantenerlo. Piaccia o non piaccia, Chiara Ferragni piace, diverte, incuriosisce, fa sorridere. E la tanta leggerezza che le viene criticata sta a mio avviso più nel “seguace” che nel prodotto. Prodotto che è invece studiato e ragionato.
I fans, oggi ribattezzati followers, sono quelli di sempre, ispirati, immedesimati, sognatori, incapaci talvolta di capire che per spiccare il volo si devono possedere competenze vere, si deve avere quel "particolare" che distingue.
“Chiunque ce la può fare da solo” dice Chiara. Io aggiungerei “se possiede talento e capacità”.
Mi chiedo se uno dei più grandi problemi dei social network, con follower comprati e like messi in bella mostra, non sia quello di far perdere di vista che dietro ogni fenomeno (che possa dirsi tale) c’è lavoro e non solo destino.
Il documentario si sviluppa tra le immagini della Ferragni bambina e la schiettezza di un marito in grado di essere quella dose di realtà che dà equilibrio ad una vita fatta dalle fatiche del “sembrare”. Un uomo che proclama la “felicità dei legami” e che esplicita che l’amore sia smussare anche i propri angoli. Poi il racconto della decisione di esporre un figlio mediaticamente perché "sarebbe diventato ancora più complicato tenerlo nascosto". La mia mente non ha potuto non pensare a Lady Diana o Kate Middleton, a principesse e a principi soggetti a regole e a canoni quasi insopportabili.
Cosa avrei voluto vedere? Quello che è forse logico che si sia solo intravisto anziché visto.
Avrei voluto vedere questa “pagina pubblicitaria vivente” che prima del matrimonio spera “di piangere in modo carino” lasciarsi andare a qualche crisi di nervi. Avrei voluto vedere una Ferragni che non solo loda il suo team, ma anche i momenti in cui entra in conflitto con chi le sta a fianco. Avrei voluto vedere non solo una donna che dice che “mostrare la felicità a volte fa paura”, ma anche il dettaglio di tanti momenti di infelicità o di semplice difficoltà.
Avrei voluto vedere in modo più espresso la ricerca della “Chiara che vorrei” e forse la voglia di essere una Chiara diversa da quella pensata in precedenza.
Resta, però, il fatto che questo è stato il modo di raccontare scelto da Elisa Amoruso ed ha un suo particolare sapore.
Questa narrazione, infatti, pur non privando lo spettatore della bellezza del credere nei sogni, riesce a far leggere tra le righe l'osservatore (quello attento, oggettivo e senza pregiudizio) e a fargli comprendere che la vita patinata di una star non è priva di momenti difficili.
Riesce inoltre a fare intendere che ognuno può selezionare accuratamente cosa condividere e cosa no.
Io deduco che Chiara Ferragni, contrariamente a quanto si affermi, sia riuscita a mantenere privata una grande fetta della sua vita, quella più legata alle emozioni, ai sentimenti, alle debolezze e alle tristezze.
“Non volevo diventare famosa. Volevo fare qualcosa che avesse un senso”. Credo che questa “imprenditrice digitale”, concedendo parte della sua quotidianità, abbia sicuramente realizzato un sogno, quello di trasformare una passione in un lavoro.
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