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Margherita Carosio e il suo #regalareparole.

Ho avuto il piacere, anzi direi l’onore, di intervistare Margherita Carosio. Sì perché quando qualcuno si dona senza limiti, raccontandosi come ha fatto lei, c’è qualcosa di più.

Una donna che è un fiume in piena. Un libro aperto. Una donna che ti prende per mano e ti porta nei campi di grano dove giocava quando era bambina. Ti fa sentire il sole, ti fa toccare la terra sulla quale cammina.

Insieme a lei corri. Insieme a lei ti fermi senza più fiato. Insieme a lei sorridi. Ti innamori delle sue parole e del suo amore per la Vita. Una donna che conosce la sofferenza, l'incertezza e la paura e che non ha paura di parlarne.

Una donna che ha imparato anche il coraggio di raccontare la malattia.

Una donna con il nome di un fiore semplice e colorato. Colorato sì, perché anche il bianco dei petali è un colore. Quello di una pagina (bianca) pronta ad essere scritta da zero.

Margherita, nel tuo profilo Instagram scrivi "mira alla luna, anche se la manchi atterrerai tra le stelle". È più importante la meta o il cammino?

Da sempre penso sia il cammino. È proprio il percorso per arrivare alla meta che ti segna, ti fortifica o ti affossa. “Comunque andare” resta un principio del mio quotidiano, andare sulla Luna ma anche tra le stelle, appunto.

Come ti racconti in poche parole/righe?

Sguardo sognante (e miope) di chi il mondo lo vuole vedere quasi fiabesco. Sono Margherita, all’anagrafe una quarantenne con tanti sogni nel cassetto e passioni che coltivo: natura, cultura, arte, cucina veg, lettura e fotografia!! Sono un’autodidatta senza alcuna tecnica, è “l’empatia” con le meraviglie che vedo che mi guida! Sono una persona molto sensibile. Non lo considero una qualità, perché riesco a cogliere anche una sfumatura, un tono di voce, una parola sbagliata e ne soffro. Ma questo “sesto” senso trova risvolti anche molto belli, a scuola, con i miei alunni. C’è un’empatia magica con loro, con i piccoli ho meno problemi di comprensione rispetto agli adulti. Sono un’inguaribile idealista, mi piace vedere il bello negli altri.

Un nome che è quello di un fiore: Margherita. Avevo letto di te e della tua nonna. Cosa ricordi della tua infanzia?

E’ stato un periodo molto felice, spensierato. La vita in campagna ha molto segnato le mie scelte del futuro, il legame con la terra, la stagionalità, il fare costruttivo. Mia nonna era piuttosto burbera, a volte sopraffatta dalla mia vivacità. Era anziana e provata da una vita di sacrificio, di contro io esuberante e vera “monella”. La facevo dannare! I miei gestivano un bottegone di paese ed erano sempre là, pochissimo a casa. Così presero il via le mie scorribande tra campi di grano e vigneti, insieme alla mia inseparabile cugina e agli zii che avevano una fattoria, a due campi di distanza da casa nostra.

Cosa volevi fare da piccola?

Volevo fare la maestra, da sempre. Adoravo insegnare: a mia nonna, che costringevo ad essere una mia alunna (povera!), ai miei compagni di scuola dalle elementari in poi, ma senza presunzione. Insegnare la nostra lingua ai ragazzi del Marocco che arrivavano tra i primi in Paese, malvisti e ghettizzati. Insegnare il sorriso ai malati che accudivo come volontaria in ospedale, in reparti dove sono io ad aver imparato moltissimo. Poi ho avuto anche parentesi varie dentro le quali sognavo di fare la parrucchiera e riempire di bigodini le teste di anziane dai capelli azzurri, oppure la cantante e mi esaltavo nei cori di chiesa, ancora la panettiera o l’astronauta.

Quali sogni hai realizzato di quelli che avevi da piccola?

Forse di mantenere una certa serenità, un sogno faticoso in realtà. Non avevo sogni comuni, quali sposarmi ed avere dei figli. Infatti è andata così. Sognavo una finestra al mare, molto più di un effimero desiderio, perché il mare per me ha sempre avuto un potere calmante, rigenerante, mi riporta il sorriso. E’ stato amore a prima vista, fin da subito, quando l’ho visto sbucare improvviso dal treno che mi portava a Camogli. Avevo cinque anni. Ricordo nitidamente l’emozione davanti a quell’immenso azzurro che pareva abbracciarmi.

Tre difetti?

Testarda, permalosa, irascibile

Tre pregi?

Generosa di cuore, empatica, sincera

Quali i tuoi talenti?

Creare con le mani, in modo rustico, grezzo. Dalla farina, alla terra, ai rami spiaggiati. Usare le mani mi consente di alleggerirmi, perché sono una persona piuttosto cervellotica e il lavoro manuale mi regala lucidità e benessere. Adoro leggere e penso di riuscire a trasmettere questa grande passione ai miei piccoli alunni. Negli anni, ho ritrovato anche una certa predisposizione verso la scrittura, che mi serve proprio come valvola di sfogo, anche se ho periodi di “buio” in cui fatico a lasciarmi andare al flusso dei pensieri e ricordi sulla carta.

Quali le tue passioni?

Camminare, sempre. Proprio forse come metafora di vita. Camminare in qualsiasi luogo, in solitaria o con altri. Cerco di farlo quotidianamente e quando non riesco, mi manca moltissimo. Viaggiare, soprattutto in Italia. Cucinare, il mare, il giardinaggio, la lettura, la scrittura e i piccoli oggetti vintage, soprattutto le scatole di latta, da scovare nei mercatini dell’usato.

Cosa mi racconti del tuo blog e del tuo hashtag #regalareparole?

Il blog, “la c(f)ucina delle idee, pensieri di un’aspirante controcorrente” ci sono io interamente e le mie passioni, in particolare descrivo alcuni itinerari particolari legati ad eccellenze del territorio, parlo di cucina salutista e salutare, descrivo i miei stati d’animo, soprattutto legati al quotidiano e alla malattia che ho avuto. Così mi racconto: “A quaranta e qualche mese la mia “nuova vita” è realmente cominciata, nel modo più classico, dopo un’ecografia che avevo voluto fare per scrupolo, perché tanto quella piccola pallina dura nel mio seno. E invece, era. Era ciò che non si vuole nominare, era ciò che speri sempre non sia. Anche il medico che ha eseguito l’esame diagnostico non voleva sbilanciarsi. Situazione poco chiara, andava approfondita. Ma nel mio io più profondo sapevo bene di cosa si trattasse, lo sapevo da quando quella pallina dura me l’ero sentita incastonata dentro di me, durante una bella vacanza, in un momento di puro benessere. Ma ho voluto terminare le ferie, e intanto mi dicevo: “Non a me”. Dalla diagnosi all’intervento è passata soltanto una settimana, questa tempestività mi ha aiutato moltissimo, a non perdere lucidità sul quotidiano, anzi, a riprendere in fretta tutto ciò che era la mia vita, anzi, la mia nuova vita da quarantenne.

Non è stato un cammino facile, non lo è tuttora. Quando mi dicevano che dopo avrei gustato ogni attimo di ciò che mi sarebbe accaduto, non potevo crederci. Ma i momenti di sconforto e spaesamento, non lo nego, ci sono stati. Le mille domande incastrate in testa, senza via d’uscita. L’aggrapparsi all’idea di essere più forti del cancro, riuscire a vincerlo. E poi la straordinaria rete di solidarietà e puro amore che si crea tra donne, in particolare tra quelle che hanno avuto un percorso di malattia simile.

Recentemente ho letto un articolo che mi ha molto colpito, s’intitolava “le parole che fanno bene”. Certi vocaboli sono come carezze o mani tese verso il prossimo. Altri feriscono, alzano muri, rimarcano distanze. Poi ci sono i non detti: sentimenti ed emozioni che ci teniamo dentro per timore delle conseguenze o per eccessiva sensibilità.

Il cancro mi ha insegnato a dire, a chiedere. Prima lo facevo poco, pensavo di bastare a me stessa, affrontavo tutto e tutti con rigore e pragmaticità, ma ignoravo l’importanza della condivisione.

La poetessa Alda Merini scrisse “Mi piace chi sceglie le parole da non dire”. Perché in fondo le parole, proprio come le uova (e le diverse sensibilità) vanno maneggiate con cura. Non ci deve spaventare parlare della malattia, quando appunto il comunicare ha il fine di lenire, di essere di aiuto e conforto, quando la tua esperienza personale può fugare dei dubbi e indirizzare, in un percorso che si prevede intenso e provante.

L'hastag "#regalareparole" mi è nato come idea dopo la malattia. Sono stata operata di cancro al seno, ormai quattro anni fa, sono una sopravvissuta. Da lì un'escalation di progetti, cambiamenti, esperienze come se togliendo quel sassolino incapsulato, avessi tolto il tappo che teneva chiuse salde e protette emozioni, di tanti tipi, che forse si erano stratificate. Dopo il cancro mi sono ripromessa di aiutare, aiutare il più possibile, chi ha un vissuto come il mio, perché non ci si deve sentire spersi e smarriti dopo una diagnosi. Così #regalareparole un piccolo conforto quotidiano in realtà che vuole esserlo davvero per tutti, per chi ha avuto una giornata storta, per chi si sente solo, anche soltanto per qualcuno che ha bisogno di un sorriso. Vorrei che lo usassero tanti di Noi questo hashtag, per creare una comunità di persone che si sostengono, che creano insieme una "banca del bene", uno scrigno di racconti speciali.

Il tuo è un profilo che racconta di casa, vita vera, emozioni, gentilezza, voglia di vivere il presente.


Ti rispecchi? Cosa di altro c’è?

Hai creato una sintesi meravigliosa del mio profilo! Se ti ho trasmesso questo, ne sono felice perché mi rispecchia davvero, io sono questa. Sono così. A volte troppo malinconica, non vorrei che attraverso i miei scatti e il mio racconto passasse questo.

Dove ti vedi tra 10 anni?

Non mi vedo affatto. Non pianifico più a lunga distanza, non riesco più a farlo. E forse è anche meglio così!

Cosa fai nella vita?

Insegno alla scuola primaria, anche questa un’esperienza “estrema” perché ho quaranta alunni ed è una pluriclasse. Una scuoletta di un piccolo paese immerso nelle verdi colline, un luogo idilliaco dove ho messo radici da tanto tempo. Credo in questo modo d’insegnare antico e al temo stesso rivoluzionario, dove i miei bambini si aiutano tra di loro, dove la classe quinta insegna le lettere ai piccoli di prima, dove ci sono spazi comunitari gestiti da loro, come la bibliotechina, l’ordine delle aule, la sistemazione dei giochi. Una grande famiglia. Nella scuola, che è fatta di cuore ed educazione, nel senso etimologico del termine, ci credo davvero tanto. E investo moltissime forze in questo progetto di vita, oltre che deontologico.

Mi racconti un episodio della tua vita che ti caratterizza?

"Signora! Signora! Mi sente?! Si svegli!!" Perché dovevo fare la fatica di aprire gli occhi, lasciare quel mondo ovattato e confortevole, quella camminata tra le nuvole, fatta di passi e cuore leggeri? Non volevo. Non volevo. Qualche pizzico bonario sulla spalla ad una me riluttante, la carezza sulla guancia di una mano gentile, in quel gelo di stanza. E va bene. Apro gli occhi stropicciati e miopi, tutto mi sembra più sfocato di quando sono entrata lì, eppure al tempo stesso nitido e lampante: guardo il grande neon sopra la mia testa e realizzo di essere viva. Non me l'aspettavo, credevo di riabbracciare finalmente mia madre, di rimanere con lei. Invece sono su questo letto mobile, esco dalla sala operatoria, in attesa trovo gli affetti più cari di sempre. Sono viva e vigile più che mai, i sensi appuntiti e un desiderio commisto di ridere, piangere e parlare contemporaneamente. Anche se inchiodata al letto sento la vita pulsarmi nelle vene, nel cervello, uscire e rientrare dalle narici, dalla bocca. Sono viva. Sono di nuovo viva da quattro anni. Il 2 ottobre del 2014, intorno a mezzogiorno, mani esperte mi toglievano un nocciolino che si era insediato impunemente nel mio seno, con cattiveria. Sul comodino avevo lasciato un messaggio, consiglio di un'amica: "Vado, lo ammazzo e torno". Accanto, un regalo di un altro pezzetto di cuore, "good luck". Da quel risveglio, unico, non ho mai dimenticato le mie fortune.

Sei unica perché?

Non credo di essere unica. Mi sento molto normale. Ma non normalità come conformismo, questo no. Sono una persona molto semplice, limpida.

Cosa ti fa sorridere?

I visi allegri dei miei piccoli cuccioli al mattino, felici di venire a scuola. Le sorprese del mio compagno, strampalate e uniche, sempre davvero belle, tagliate su di me. Mi fa sorridere pensare ai ricordi belli, puri. Mi fa sorridere e mi rasserena andare ad una mostra d’arte, o a teatro.

Quali i tuoi valori?

La lealtà, la sincerità, la coerenza

Cosa è per te l’amicizia?

Un bene prezioso, e raro. Da proteggere e curare, accudire.

Quanto conta oggi apparire?

Moltissimo, troppo. Infatti, pur riconoscendo i social come mezzo di comunicazione e di creatività, non amo sovraespormi. Preferisco rimanere in una nicchia anche emotiva e piuttosto osservare gli altri. Certo è che le vere eroine oggi sono coloro che portano avanti valori Veri (empatia, la gentilezza, la calma, la correttezza, la tolleranza, la cortesia, l’umanità), anche e soprattutto in sordina, in modo poco appariscente appunto.

Cosa ti riempie di gioia?

I piccoli gesti del quotidiano, i disegni dei miei bimbi nascosti in mezzo ai libri, le sorprese sotto il cuscino, i fiori raccolti nei campi, i corbezzoli nelle passeggiate liguri, ascoltare il mare. Leggere comoda a casa, dopo una giornata pesante.

Cosa mi racconti della tua famiglia di origine?

Era una famiglia vera, unita. Mio padre è mancato quando avevo quattordici anni. Era il mio eroe del quotidiano. “Spero ti arrivino i miei messaggi papà. Che tu possa leggere nel mio cuore e condividere così quello che qui non ci è stato permesso. Vorrei raccontarti di quanto mi sia difficile sorridere sempre, di come un tramonto mi faccia emozionare, delle mie passioni, della persona che sono diventata. I giorni degli anniversari pesano come macigni sull'anima perché vorrei stringerti forte, come facevo da piccola, tu, il mio eroe del quotidiano. Fotografo spesso il cielo, è là che ti vedo, insieme alla mamma. E quando con lo sguardo abbraccio i panorami che tanto amo, lì ci siete anche voi!! Ciao papà.”

A mia mamma ero legatissima. Quando mio padre è morto, mia sorella, più grande di me di dieci anni, si è sposata ed io e lei siamo rimaste sole in quella grande casa, a spalleggiarci, a confrontarci, a crescere insieme. Le devo tantissimo, sono quella che sono grazie a lei, al suo coraggio, alla sua forza. Era veramente un perno per tutta la famiglia. Ho sofferto tantissimo per la sua perdita, ho avuto giorni dolorosissimi. Piangevo in ospedale quando mi davano certe sentenze; lei ha affrontato la malattia con il sorriso, fino all’ultimo giorno di vita. Era unica. Mi manca profondamente.

Quale è la tua famiglia attuale?

Vivo da vent’anni con il mio compagno, una persona che stimo tanto come persona e con il quale condivido tutto.

Quale il tuo sogno nel cassetto?

Sistemare una vecchia cascina e creare una fattoria didattica.

Quali messaggi vorresti comunicare alle donne?

Vorrei ci fosse più solidarietà e condivisione vere. Insieme potremmo diventare una forza invincibile di cervello e sensibilità, ma ci facciamo sopraffare dai personalismi e dalla diffidenza. Non siamo cooperative. Su questo dovremo ragionare.

Quale la frase che porti sempre nel cuore?

Alcuni versi della canzone “La Cura” di Battiato, la mia canzone del cuore: “perché sei un essere speciale ed io avrò cura di te”.

Quale domanda avresti voluto ti facessi?

“Se tornassi indietro, cosa vorresti cambiare della tua vita?” Ti avrei risposto: Niente (forse).

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